ABBINAMENTO #13
Via delle Moline
Il percorso di via delle Moline, così come quello delle vicine via Augusto Righi e via de’ Castagnoli, fu originato nel XII secolo dalla strada che circondava esternamente il fossato della seconda cerchia di mura, quella nota come cerchia del Mille.
Il riferimento ai mulini azionati ad acqua dal vicino Canale di Reno (che nel tratto parallelo a via Capo di Lucca prende il nome di Canale delle Moline) è evidente.
Il canale delle Moline è la prosecuzione del canale di Reno dopo la derivazione del Cavaticcio e oltre via Indipendenza. Poco oltre le mura del Trecento il suo corso si unisce a quello del torrente Aposa, che scorre sotto il centro città e entrambi si gettano nel canale Navile nei pressi del sostegno della Bova. Per buona parte del suo itinerario il canale delle Moline è rinchiuso tra le case e per questo in passato è rimasto a lungo nascosto alla vista.
Di recente sono stati riaperti gli affacci sui ponti delle vie Oberdan e Malcontenti, che si affiancano alla suggestiva finestrella di via Piella.
Alla fine del 1100, con geniale intuizione, i bolognesi realizzarono due grandiose opere idrauliche, che portarono acqua in una città che non ne aveva: due canali scavati fino al centro cittadino, per oltre 27 chilometri complessivi, e derivati dal fiume Savena a est e dal Reno a ovest. L'energia idraulica potè muovere così centinaia di pale che alimentavano mulini da seta, pille da riso e molte altre manifatture. Il sistema bolognese era originale grazie all'idea di collocare i mulini non direttamente sui canali, ma sulle tante derivazioni create per mezzo di chiaviche.
Oggi, gran parte della strada è pedonalizzata ed è frequentata ad ogni ora della giornata soprattutto da studenti della vicina università, che affollano i numerosi locali che affacciano sulla via e la rendono un luogo di incontro che non riposa mai.
Gradizzolo, Bersòt
Il Bersòt di Gradizzolo è un rifermentato in bottiglia a base di Pignoletto, che fa di spensieratezza e facilità di beva i suoi punti forti. La pratica della rifermentazione in bottiglia, ora ampiamente sdoganata, è da sempre una pregorativa dell'Emilia-Romagna
Un vino che dona avvolgenza, gusto e leggerezza, che è la cosa di cui hai più bisogno.
E infatti la bottiglia finisce senza che tu te ne accorga.
Partendo dal progetto “Vino del Parco” del Parco dell’Abbazia di Monteveglio, che promuoveva la produzione vinicola senza l’utilizzo di sostanze chimiche di sintesi, l'azienda ha affinato le proprie competenze fino ad arrivare alla scelta del metodo biodinamico.
La biodinamica è una tecnica agricola ma anche una filosofia. Vi si vede uno stretto rapporto tra le forze astrali e le piante, intese come organismi complessi in correlazione con tutto il resto. Nella pratica questo si traduce nell’utilizzo di alcuni preparati, usati in certi giorni e orari per potenziarne l’effetto, che invece di aggiungere sostanza al suolo o di curare le piante, fanno sì che il terreno si arricchisca naturalmente, e che le piante trovino in se stesse le risorse per resistere alle avversità.
Nel tempo si sono visti i risultati: vigneto in equilibrio, terreno più ricco, molta biodiversità.
Questo approccio si estende anche in cantina, dove i vini fermentano spontaneamente con i lieviti indigeni, per i frizzanti la seconda fermentazione in bottiglia avviene con il mosto congelato senza filtrazioni o interventi invasivi, con livelli di solforosa bassissimi e imbottigliamento in luna calante.
Ne derivano vini con una propria personalità, e con una forte impronta dell’annata.
Gradizzolo coltiva anche Negrettino e Alionza, due varietà autoctone ancora poco note, perché cadute in disuso dopo l'”invasione” delle uve internazionali e per via di alcune difficoltà nella loro coltivazione.
Pier Paolo Barbieri, Col naso all'insù
Alla vigilia della tradizionale Grande Festa della Liberazione del 25 aprile in Via del Pratello, a Bologna, viene commesso un furto che indigna residenti e avventori, e li unisce in una indagine su larga scala dove ogni personaggio segue una propria pista. Alcune non porteranno a niente ma altre daranno risultati, anche non voluti, e sveleranno misteri fino a quel momento irrisolti. Ma la Grande Festa, anche a dispetto dei peggiori auspici, non può non svolgersi, e sarà un nuovo mistero a tutt'oggi non svelato a rimettere le cose al loro posto e poter dare così il via ad uno dei più memorabili eventi che siano mai stati organizzati in questa piccola strada con la città intorno.
È una strada di memorie, di socialità, di condivisione. "È quasi un paese dove ci si sente a casa, dove nascono idee e progetti, dove trovi empatia immediata con le persone", dice Pier Paolo Barbieri, che da qualche tempo in via del Pratello ha scelto di fare il tabaccaio, anche se il mestiere dei suoi sogni in realtà è sempre stato quello dello scrittore e del musicista.
Il Pratello (il nome lo si deve ai prati che circondavano secoli fa la città racchiusa nelle mura dei Mille) è stata la strada delle lavandaie a fine ‘800 e dei lestofanti a inizio secolo, quella dove si mangiavano i fagioli ‘a tempo’ (all’osteria Ghitton) e dove, a partire dagli anni ‘60, tanti artigiani hanno impiantato le loro attività. Oggi è la strada dei pub, dei ristoranti e della movida, il pezzo di città che il Sunday Times ha definito ‘bohemienne’ ma anche il luogo che non dimentica la sua storia recente: Radio Alice, il Gran Pavese Varietà, le case occupate...