top of page
i_portici_di_bologna_nella_zona_dell_ex_ghetto_ebraico_in_centro_edited.png

ABBINAMENTO #12

44.png

Ex Ghetto Ebraico
 

Il curioso nome della principale strada che attraversava il Ghetto ebraico, via dell’inferno, non ha una chiara spiegazione.

Si ipotizza che derivi dall’oscurità della zona in cui le strade, un tempo difficili da praticare, sono strette con le case addossate le une alle altre e collegate da passaggi sopraelevati. Oppure, dallo stato di costrizione in cui erano obbligati a vivere gli ebrei lì raccolti.

Certamente è un toponimo antico, che diede origine per analogia anche al nome di due vicoli collocati tra via Oberdan e via dell’Inferno: vicolo del Limbo e vicolo del purgatorio.

Nulla a che vedere con via Paradiso, che si trova invece in una zona del centro storico molto più gaudente fin dai tempi antichi, perpendicolare a via del Pratello.

Al numero 16 di via dell’Inferno una targa ricorda che lì si trovava la sinagoga del Ghetto.

L’assenza di traffico nelle strette stradine e l’attento restauro degli edifici conferisce a questa zona il caratteristico sapore medievale. L’assetto urbanistico attuale è rimasto quello tipico dell’antico Ghetto. Le case sono molto vicine le une alle altre e separate da vicoletti, ballatoi e ponti coperti, finestre piccole e tante porte che si affacciano sulle strade, alcune delle quali sono falsi ingressi per distogliere l’attenzione da quelli veri in posizione più nascosta.

Gli ebrei vennero separati dal resto della popolazione nel 1555, per volere di Papa Paolo IV. Vennero quindi confinati in questo quartiere dagli ingressi sorvegliati e nel quale venivano chiusi al tramonto. Uno degli accessi è ben distinguibile ancora oggi: l’arco che da via del Carro dà su via Zamboni.

Gli ebrei vissero nel Ghetto fino al 1569, quando vennero espulsi dalla città. Fu loro permesso di tornare nel 1586. Vennero nuovamente cacciati nel 1593, e per oltre duecento anni i gruppi ebraici organizzati non poterono vivere a Bologna. Anticamente la zona era molto animata per la presenza di commercianti e banchieri, oggi è ricca di botteghe artigiane di alta qualità. Quartiere molto caratteristico.

(fonte: Serena Bersani, Il Giro di Bologna in 501 luoghi, Newton Compton Editore)

52.png

Corte d'Aibo, Meriggio
 

Nel 1989 Antonio Capelli e Mario Pirondini rilevano il complesso di 35 ettari sulle colline di Monteveglio per dare vita al loro “folle” progetto di ritorno alla terra, abbracciando un ritmo più lento e rispettoso dell’ambiente attraverso la pratica dell’agricoltura biologica, allora agli albori: nasce così Corte d’Aibo.
L’obiettivo è, fin da subito, quello di produrre vini che raccontano un territorio, ma anche una storia personale e insieme collettiva di lavoro, passione, recupero delle radici.

Radici che affondano in un tempo antichissimo, come testimoniato dai resti etruschi ritrovati nella zona a inizio Novecento, fino ai documenti medievali che attestano l’esistenza dell’insediamento di “Daibo” o “Aibo”, dall’emiliano “aibus”, abbeveratoio, termine legato alla presenza di acqua.

Dalla tradizione nasce la sapienza, la conoscenza dei punti forti e dei punti deboli della propria terra, l’umiltà di saper accogliere l’eredità di secoli di esperienza nel produrre vini di eccellenza in un territorio come quello dei Colli Bolognesi. La tradizione da sola, però non basta, bisogna crescere, migliorarsi, ‘innovare’, per poter creare vini sempre più vivi e coinvolgenti. Il tutto senza inventare niente di nuovo, ma semplicemente trovando la maniera di esaltare le caratteristiche dell’uva.

Perché a Corte d’Aibo il vino buono nasce nel campo, in cantina bisogna solo cercare di non sprecare i doni della terra. In quest’ottica si inseriscono le pratiche dell’agricoltura biologica e biodinamica, volte a massimizzare la salute e la qualità del terreno, oltre all’utilizzo delle anfore di terracotta, eredità etrusca che consente la massima valorizzazione delle caratteristiche dell’uva, senza snaturarne gli aromi intrinseci. Una particolare attenzione è rivolta alla riduzione o eliminazione di solfiti aggiunti, sostanze che diventano inessenziali, anzi dannose, quando il vino è di buona qualità.

Meriggio, un vino da uve Barbera, Cabernet Sauvignon, Merlot.

VENDEMMIA
Manuale in piccoli carri raccolta. Epoca differenziata a seconda della varietà.

VINIFICAZIONE
In anfore di terracotta con macerazioni variabili da 30 a 180 giorni a seconda delle varietà.

53.png

Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli, Macaronì

Siamo nel 1940, in un paese dell'Appennino tosco-emiliano, freddissimo, povero. Un paese dove non succede niente, tra l'altro. O meglio, dove non succedeva niente, perché una mattina, Maddalena, cameriera a ore, trova il corpo di un paesano, un vecchio emigrato ritornato dalla Francia e detto per questo "il Francese", steso in mezzo alla neve. Una leggenda popolare vuole che gli ubriachi che si addormentano all'aperto non muoiano di freddo, anzi sciolgano la neve. Ma il francese non è addormentato, è morto. E non è che il primo.

Il maresciallo Benedetto Santovito, esiliato dal suo Sud in questa ghiacciaia in mezzo alle montagne a causa della sua mancata reverenza nei confronti del regime fascista, si trova a dover indagare su di una catena di omicidi scatenati da vicende avvenute addirittura alla fine dell'Ottocento. Fuori dal suo ambiente, il maresciallo dovrà fronteggiare l'ostilità di persone che pensava di aver imparato a conoscere e fare i conti con una mentalità montanara ben lontana da quella della sua terra natia.

Francesco Guccini

Cantautore mito di più di una generazione, anche la sua attività di scrittore si configura come una delle esperienze più originali e suggestive della scena letteraria italiana dell'ultimo decennio. Sporadicamente anche attore, autore di colonne sonore e di fumetti. Fino alla metà degli anni Ottanta ha insegnato lingua italiana al Dickinson College di Bologna, scuola off-campus dell'Università della Pennsylvania. Ha anche lavorato come docente presso la sede bolognese della Johns Hopkins University (Washington, DC, USA). La sua vita si è svolta tra Modena, Pàvana e Bologna. 

Loriano Macchiavelli

Originario dell’appennino bolognese, ha frequentato l'ambiente teatrale come organizzatore, come attore e, infine, come autore; alcune sue opere teatrali sono state rappresentate da varie compagnie italiane. Dal 1974 si è dedicato al genere poliziesco e ha pubblicato numerosi romanzi divenendo uno degli autori italiani più conosciuti e letti. 

Nelle sue storie la città di Bologna è sempre personaggio comprimario, il territorio dove si svolgono i fatti non è mai solo uno sfondo.

Ottobre 2022

bottom of page